L'amante di re Alfonso D'Aragona: Gabriele Correale, il paggio di Sorrento

Riferimento: 9788872970652

Editore: ABE
Autore: Bascetta Arturo
Pagine: 160 p., Libro rilegato
EAN: 9788872970652
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Descrizione

Lungi dalle intenzioni di tracciare un profilo su Alfonso I d'Aragona, conosciuto come il Magnanimo, ma questo testo vuole però contribuire a dare il giusto valore alla personalità del reale tanto amato per le sue virtù. Lo fa rispolverando qualche parabola del sovrano, a tratti intrisa di classicismi, a volte pregna di sarcasmo, ma sicuramente degna di un Re di tal portata. Per questo lo arricchisce l'appendice dedicata alle parabole alfonsine celebrate da uno storico come Domenichi. L'attenzione è tutta volta a un viaggio interiore, che scruta l'animo di un sovrano, volto alla bellezza e al bello delle cose, amato dalle donne, ma al quale, non sfuggì naturaliter una vera storia d'amore per il suo paggio, elevato a cavaliere, e perfino a nobile possessore terriero, sia per lo splendore del corpo, che per la dolcezza dei suoi modi gentili, propri delle persone che si lasciano amare. Ma a Re Alfonso, a dire di pochi, benché sottaciuto da molti, Gabriele Curiale, era piaciuto in carne e ossa, così come gli apparve, restandone rapito fin dal primo giorno, alla sfilata d'onore dell'entrata in Napoli, folgorato dal luccichìo del carro trionfale. Quel giorno il corpo di quel paggio divenne per lui un miraggio da vivere, da preservare, da osservare, ogni qual volta ne sentisse l'esigenza; e da amare, al punto da essere considerato un pezzo della propria vita, da cambiargli perfino il cognome di Curiale in Correale, perché Gabriele fu questo: un core-reale, il cuore del suo Re, fermo restando il suo grande amore per Lucrezia d'Alagno, che andrà a soppiantare tutti gli altri del 'giovanil' furore del neofita. Che il sovrano fosse attratto anche dalla bellezza maschile, insomma, sembra svelarlo lo stesso biografo Domenichi. Solo che, volontariamente o involontariamente, egli indica nei suoi scritti tante debolezze umane, in cui traspare da una parte un frenetico amore per i deboli, i poveri, gli ammalati, gli emarginati, insomma quasi francescano, e dall'altro l'essere circondato da stretti cavalieri, ritenuti di famiglia, ma spesso ragionando d'amore e di risentimento. Il piacere di ricevere attenzioni da Manetti, oratore fiorentino, è accentuato. Piccoli indizi che si ricavano dagli aforismi riportati da Domenichi, quale, ricordando che Cosmo de' Medici «voleua poco bene ad Alfonso», gli aveva donato le Deche di Tito Livio che non toccò perché «sospetto di veleno». La lite fra i paggi sul chi dovesse possedere la tazza dove bevve il Re e lo scatto sdegnato del sovrano, armato di pugnale nel rincorrere uno di essi, ricordano molto la morbosità amorosa dei fanciulli. L'eccesso di pietà mostrato per il corpo nudo del soldato genovese spiaggiato a Pozzuoli durante la guerra contribuisce a costruire una figura pia pervasa dai ricordi che esplode, in tutta la sua umana pietà, nel rivedere Sorrento, la patria donata all'amato giovanetto defunto. A questo punto il Re Magnanimo, il conquistatore di Napoli, l'eroe forte con i duri, mostra uno dei suoi lati migliori: il pianto. Alla vista della città più bella del mondo Alfonso non riesce a «guastarla» perché lì sono i suoi ricordi d'amore e lì «fu veduto spesso venirgli perciò le lagrime agli occhi». È su queste considerazioni che può essere letto l'amore sfegatato per un pezzo del suo cuore, quello che egli considerava la miglior parte di sé; quello corrisposto dal suo paggio fin dal giorno del primo incontro. Gabriele, questo il suo nome, sorrideva e gli sfilava accanto, senza mai mollare gli occhi di dosso. Egli giunse all'improvviso, nel bel mezzo della festa e della storia, proprio come fa solo un vero amore, inaspettato, ma non impossibile. Era esattamente ciò che piaceva al suo sovrano, come tutte le altre cose di gusto, apprezzate da un Re Magnanimo, colui che dona in continuazione, sapendo di non poter chiedere nulla in cambio.