Scartoffie beneventane

Riferimento: 9788872974605

Editore: ABE
Autore: Bascetta Arturo
Pagine: 148 p., Libro in brossura
EAN: 9788872974605
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Descrizione

Gli Aragonesi avevano annesso il Regno di Sicilia a quello angioino di Napoli nel 1442, grazie a volorosi capitani giunti al loro seguito dalla Spagna. Fra essi vi erano i fidati Don Pedro e Don Indico de Guevara, padre e figlio, i quali strapparono agli Angioini molti feudi importanti, come Potenza, Ariano, Montecalvo e Apice. Qui ancora non si era spenta l'eco della distruzione subita dopo l'assassinio di Andrea d'Ungheria, marito di Giovanna I d'Angiò, e l'arrivo in Benevento e nel Regno del fratello del defunto re, Ludovico, la cui presenza non mancò di apportare danni alla Città e alla Provincia: un quartiere di Benevento fu incendiato e il 7 settembre 1348, Apice, assediata dalle forze del secondo marito di Giovanni, Luigi di Taranto, venne saccheggiata e data alle fiamme, mentre dal canto loro gli Ungheresi saccheggiavano Arpaia nella loro marcia verso Napoli. La liberazione dagli Angioini appariva davvero attesa dopo anni di usurpazioni e vessazioni. Benevento che in questo periodo (1378) si era mostrata ostile al legittimo pontefice Urbano VI, fu governata da funzionari angioini che non mancarono di fare le loro vendette contro gli avversari dell'antipapa ed espulsero l'arcivescovo Ugone Guidardi. Con le lotte che poi imperverseranno fra i pretendenti al trono di Sicilia, durazzeschi e angioini, non senza gravi ripercussioni nella città pontificia, con l'avvicendarsi di instabili governi e domini, con la distruzione di beni e l'anemia degli esili, si chiude in Benevento il XIV secolo e con esso la florida vita economica di un cinquantennio. Nella Provincia assistiamo all'esodo di abitanti per sfuggire non solo ai pericoli delle guerre, ma anche alle gravezze fiscali: terre divenute vacue e incolte, decadenza di feudi, malaria e desolazione un po' dovunque. Telese vide discendere la sua popolazione, che aveva raggiunto circa trecento famiglie, a soli sedici abitanti, propter intemperiem aeris... et pestes alias subsecutas. Con l'avvento aragonese, Apice, appartenente al Distretto di Ariano. Da San Giorgio verso la Montagna di Montefusco vi erano invece i feudi del Distretto di Avellino ricadenti nel Principato Ultra, fra cui Morroni, Bonito e Melito, ex suffeudi della Contea di Apice. In realtà, i de Guevara, erano nella zona già prima della data ufficiale dell'insediamento aragonese in Napoli del 1442, impegnati ad annettere i feudi angioini al futuro regno aragonese. Don Pedro Vélez de Guevara, Signore di Onate, il quale sposa Costanza, figlia di Sancho Fernandez de Tovar e di Teresa de Toledo, era ad asserragliare proprio il castello di Apice già nel 1435, risultando il Capitano militare più potente di quest'area distrettuale. Al de Guevara, però, il feudo di Apice fu donato ufficialmente da Alfonso I d'Aragona solo negli anni a venire, dopo, evidentemente, la salita al trono del 1442. A Don Pedro de Guevara seguì Inico, il quale morì per le ferite riportate in uno scontro vicino Troia (1462) e fu sepolto nel monastero degli Zoccolanti di Ariano. Apice ed Ariano erano feudi consolidati della nobile famiglia spagnola che li abitava da decenni. Nella sostanza Pedro ed Inigo erano venuti in Italia al servizio militare di Alfonso V d'Aragona, già dal 1438, distinguendosi subito come migliori Capitani generali per la conquista del Regno di Napoli. In particolare, Inigo, ebbe per certo il titolo di Primo Marchese del Vasto, Conte di Potenza, Conte di Ariano e Conte di Apice, Signore di Vignole, Anto, Aliano, Alianello, Montecalvo, Casalbore, Francolo, Monteleone, Campagna e Ginestra per investitura del 20 agosto 1444, seguito nello stesso anno dal più importante titolo ereditario di Gran Siniscalco del Regno di Napoli, divenendo Cavaliere dell'Ordine del Toson d'Oro insignito dal Duca di Borgogna nel 1451 con brevetto n.49.